lunedì 28 gennaio 2013

Localismo e Decrescita conviviale




Serge Latouche è un economista e filosofo francese che ha scritto una serie di libri sul tema della decrescita.
In sintesi Latouche propone un'idea alternativa e provocatoria (quindi spesso discussa) al modello economico imperante dello sviluppo e della crescita continua a tutti i costi che , secondo molti, sta già portando ad un esaurimento complessivo delle risorse di cui dispone il nostro pianeta. Senza contare gli impatti in negativo dello sviluppo ovvero inquinamento, sprechi, sfruttamento esasperato anche del lavoro umano e diminuzione della qualità della vita.
Anche il cosiddetto 'sviluppo sostenibile' sarebbe una contraddizione in termini, per cui l'unica possibilità non è cercare di crescere meglio ma operare invece una vera inversione di tendenza: ovvero decrescere.

Il suo modello si basa su due presupposti fondamentali: il localismo e la decrescita conviviale.

Per localismo si intende l'opposto della globalizzazione ovvero utilizzare il più possibile e al meglio le risorse locali. Questo per evitare di far viaggiare le merci da una parte all'altra del pianeta ove non sia più che necessario risparmiando costi e diminuendo l'impatto ambientale.
Nel mio piccolissimo - per quanto riguarda il cibo - cerco di comprare frutta e verdura di stagione e della zona. Possibilmente non compro i pomodori a gennaio e tendo a non comprare frutta esotica se non occasionalmente.
Una volta a casa di parenti la nanetta dopo pranzo ha visto un bel casco di banane e ha detto: "Che buone le banane! Ne voglio una! Mia mamma non me le compra mai!"
Il che, nonostante sia passata per una mamma cattiva che non compra le cose che piacciono ai suoi bambini, corrisponde abbastanza al vero. Poi per carità io fin da piccola adoro le banane e quindi ogni tanto le acquisto...
A parte il cibo, devo dire onestamente che sugli altri tipi di prodotti non sono così attenta a valutare la provenienza....

Per quanto riguarda la decrescita invece - secondo Latouche - 
non basta rallentare la locomotiva, frenare o fermarsi, bisogna scendere e prendere un altro treno nella direzione opposta.
Per salvare il pianeta e assicurare un futuro accettabile ai nostri figli, non dobbiamo semplicemente moderare le tendenze attuali, bisogna decisamente uscire dallo sviluppo e dall'economicismo, così come dobbiamo uscire dall'agricoltura a sfruttamento intensivo che ne è parte integrante, per farla finita con le mucche pazze e le aberrazioni transgeniche.
La decrescita dovrebbe essere perseguita non soltanto per preservare l'ambiente, ma anche per restaurare quel minimo di giustizia sociale senza la quale il pianeta è condannato all'esplosione.
Sopravvivenza sociale e sopravvivenza biologica sono strettamente connesse.
I limiti del "capitale" natura non pongono soltanto un problema di equità intergenerazionale nella suddivisione delle parti disponibili, ma anche un problema di equità tra i membri attualmente viventi dell'umanità.
La decrescita non significa necessariamente un immobilismo conservatore.
L'evoluzione e la crescita lenta delle società antiche si integravano in una riproduzione allargata ben temperata, sempre in armonia con le esigenze della natura. "La società tradizionale era sostenibile perché aveva adattato il proprio stile di vita all'ambiente - conclude Edouard Goldsmith - e la società industriale non può sperare di sopravvivere perché, al contrario, ha cercato di adattare l'ambiente al proprio stile di vita".
Pianificare la decrescita significa, in altri termini, rinunciare all'immaginario economico, cioè alla convinzione che di più per tutti significhi più uguaglianza. Il benessere e la felicità si possono raggiungere a costi inferiori.
La saggezza di molte culture suggerisce che la felicità si realizza nella soddisfazione di una quantità sensatamente limitata di bisogni. Riscoprire la vera ricchezza nella promozione di relazioni sociali conviviali in un mondo sano si può fare con serenità nella frugalità, nella sobrietà, persino con una certa austerità nei consumi materiali.
"Una persona felice - sottolinea Hervé Martin - non consuma antidepressivi, non consulta psichiatri, non tenta di suicidarsi, non rompe le vetrine dei negozi, non acquista continuamente oggetti costosi e inutili, insomma, partecipa solo marginalmente all'attività economica della società."
Una decrescita voluta e ben impostata non impone alcun limite nell'esercizio dei sentimenti e alla promozione di una vita conviviale, anche dionisiaca.


Argomento complesso e sicuramente provocatorio ma sul quale vale comunque la pena di riflettere.
Meditate gente meditate...

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